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La mente in viaggio

La mente in viaggio

Un articolo sulle sostanze psicoattive e le piante maestre che permettono al nostro cervello di interpretare gli stimoli del mondo esterno secondo schemi nuovi, in una sensazione di fusione con una realtà trascendente. 

Testo: Alessio Giordano

Foto: Dora Musola

Un articolo del giornale di strada zebra. del novembre 2020


Le sostanze psicoattive e le piante maestre permettono al nostro cervello di interpretare gli stimoli del mondo esterno secondo schemi nuovi, in una sensazione di fusione con una realtà trascendente e con il tutto. Un viaggio stupefacente tra ricerca scientifica e rituali millenari.

Svizzera, autunno 1943. Albert Hoffman è un giovane chimico impiegato presso la ditta farmaceutica Sandoz. Nel suo laboratorio sintetizza le molecole contenute negli alcaloidi prodotti dall’ergot, un fungo che può infettare i cereali, per tentare di isolare un farmaco commerciabile. Cinque anni prima Hoffman aveva sintetizzato la venticinquesima molecola della serie, la “dietilamide dell’acido lisergico”, rinominata LSD-25. I primi test effettuati, però, non avevano dato i risultati sperati e la formula era stata accantonata. Affascinato dalla struttura della molecola dell’Lsd, prova quindi nuovamente a sintetizzarla, ma deve interrompere le operazioni quando una goccia del composto gli cade su una mano e inizia ad avvertire insolite sensazioni. Arrivato a casa si sdraia sul divano e in una condizione quasi onirica scorge un flusso ininterrotto di forme e figure che rimandano intensi giochi caleidoscopici di colore. È il primo trip di Lsd della Storia.


La ricerca scientifica: controcultura, oscurantismo e “rinascimento”
A partire dagli anni Quaranta, la scoperta di Hoffman diede il via alle ricerche sugli psichedelici in campo medico e psichiatrico. I loro effetti furono studiati come possibili soluzioni per problemi quali le dipendenze o la depressione e per la cura dell’ansia nei malati terminali. Negli anni Sessanta, però, il loro utilizzo diffuso al di fuori dei contesti terapeutici da parte di persone non sufficientemente preparate portò a conseguenze spiacevoli – i cosiddetti bad trips - e al rischio di compiere azioni pericolose per sé e per le altre persone. Questo suscitò la preoccupazione dei governi di alcuni Paesi, Stati Uniti su tutti, e nel 1971 la Convenzione delle Nazioni Unite sulle sostanze psicotrope limitò fortemente l’uso delle sostanze psicoattive in ambito medico e scientifico. Solo verso la fine del secolo ci furono nuovi tentativi di trovare applicazioni terapeutiche agli psichedelici. Lo statunitense Bob Wold, affetto da cefalea a grappolo – una patologia conosciuta anche come “cefalea da suicidio” per via dell’intensità del dolore che causa – testò l’efficacia dell’Lsd nella remissione dei sintomi. Uno dei protagonisti di quello che il giornalista e saggista Michael Pollan ha ribattezzato “Rinascimento psichedelico” è Robert Carhart-Harris, direttore del Centro per la ricerca psichedelica presso l'Imperial College di Londra. Il ricercatore britannico è stato il primo ad applicare la tecnica del “brain imaging”, una serie di risonanze magnetiche che mostrano cosa accade al cervello quando viene raggiunto dall’Lsd. Da uno studio sul trattamento della depressione attraverso la psilocibina (v. infobox) su una sessantina di pazienti, pubblicato dal gruppo di ricerca coordinato da Carhart-Harris sul New England Journal of Medicine nel 2021, inoltre, è emerso che questa sostanza ha dato risultati migliori e minimi effetti collaterali rispetto all’Escitalopram, uno tra gli antidepressivi più recenti. Agnese Codignola, giornalista laureata in chimica e tecnologie farmaceutiche, ritiene che queste e altre ricerche “stanno dimostrando che l’obiettivo farmaceutico si può raggiungere e sviluppare”. Nel suo articolo “Pisichedelici al bivio” evidenzia come i privati siano prepotentemente entrati in questo business, che secondo le stime degli analisti entro il 2027 raggiungerà un giro di affari di 10,75 miliardi di dollari. Codignola consiglia prudenza, visto che “oggi è possibile trovare strutture gestite da professionisti con competenze adeguate e decine di altre meno controllate che operano come meglio credono in quanto a dosaggi, modalità o schemi terapeutici e che si affidano a personale con competenze inadeguate”. Il rischio è quello di trovarsi di fronte a una situazione analoga a quella degli anni Sessanta, che causò l’oscurantismo dei governi e fermò la ricerca scientifica per decenni.

Le piante maestre
“Gli effetti della psilocibina e di altre piante oggetto della ricerca degli scienziati occidentali, erano noti da millenni alle popolazioni indigene del Sudamerica, che utilizzavano le piante maestre in contesti rituali e di cura”, afferma Tania Re, psicologa e antropologa piemontese, specializzata in Antropologia della Salute ed Etnomedicina. Uno degli ambiti di studio di Re riguarda le modalità di cura e prevenzione delle malattie che l’essere umano ha adottato nel corso della Storia e si concentra in particolare sui rimedi vegetali e animali, come piante e veleni. Nel suo lavoro a contatto con le comunità indigene dell’Amazzonia, la ricercatrice piemontese ha osservato innanzitutto che queste “mettono al centro la connessione tra corpo, spirito e mente.” Nel 2019, Re ha avviato un progetto di ricerca con alcuni colleghi*e della Repubblica Ceca per studiare le eventuali differenze degli effetti dell’ayahuasca sul cervello umano in base al luogo in cui questa viene assunta. L’equipe di ricerca aveva iniziato ad effettuare le prime risonanze magnetiche in Amazzonia, ma ha dovuto interrompere lo studio a causa della pandemia. Secondo Re lo studio delle piante maestre pone chi fa ricerca a confronto con il confine attuale delle neuroscienze: la coscienza. Utilizzate in un contesto sicuro e con l’accompagnamento di un*a curandero*a adeguatamente preparato*a, infatti, alcune piante permettono di “alzare il sipario” e di accedere a un sistema di conoscenze immaginifico, che va oltre l’esperienza sensoriale. Facendo bollire per diverse ore la liana del Banisteriopsis capsis e combinandola con altre piante (più frequentemente la chacruna), per esempio, il medico amazzonico può preparare l’ayahuasca, un decotto che contiene DMT, un alcaloide presente in alcune piante e - secondo Rick Strassman, medico specializzato in psichiatria - nel fluido cerebrospinale degli esseri umani. Nel 2012 l’antropologa ha accettato l’invito del maestro Juan Flores Salazar e si è recata per la prima volta a Mayantuyacu, nell’Amazzonia peruviana, per partecipare per a un cerimoniale con una pianta di visione. “Mi sono avvicinata a questo momento spogliandomi dello sguardo occidentale, che guarda dall’alto in basso le medicine di altre tradizioni e culture, e ho cercato di partire dal punto di vista del maestro amazzonico, che mette al centro l’esperienza, compresa quella corporea”. L’episodio è raccontato nel suo libro, “Stupefacenti e proibite: le piante maestre”, pubblicato lo scorso anno da Edizioni Amrita. Re racconta di aver visto alcuni fotogrammi, come in un sogno o in un film, che si sono poi rivelati anticipazioni di alcuni avvenimenti reali vissuti anni dopo. Per l’antropologa l’incontro con le piante mediche è innanzitutto un viaggio dentro sé stessa, che “ha reso la ricerca scientifica e la visione della realtà ancora più interessanti, ma che va fatto con l’adeguata preparazione e con un maestro competente in grado di fornire l’accompagnamento lungo tutte le fasi della cerimonia.”

Una guida affidabile
Martina Drassl non ama l’etichetta di “sanadora”. La donna, originaria di Lana, preferisce definirsi come “colei che accompagna le persone e condivide la medicina”. Quando nel 2009 è arrivata per la prima volta in Perù come volontaria in un progetto di cooperazione internazionale, stava facendo i conti con alcuni problemi personali che aveva provato a curare senza successo in Alto Adige. “Ne ho parlato con la coordinatrice del progetto e lei mi ha portato a Iquitos, la città principale dell’Amazzonia peruviana, dove per la prima volta ho bevuto l’ayahuasca”, racconta Drassl. L’esperienza le ha permesso di visualizzare letteralmente i suoi traumi e di riprendere in mano la propria vita. Da quel momento si è dedicata allo studio delle piante maestre secondo la tradizione degli Shipibo-Conibo, una popolazione indigena che vive nella regione Ucayali, nella foresta centrale dell’Amazzonia. Durante una cerimonia, una visione le rivelò che sarebbe diventata una “curandera”, ma il processo di apprendimento di Drassl è stato lungo e continua ancora oggi. “Con l’esperienza e la guida del mio maestro Ricardo Amaringo riesco a portare avanti il mio percorso personale e al tempo stesso ad accompagnare gli*le altri*e, nel solco della tradizione Shipibo-Conibo, secondo cui la medicina va condivisa”. Insieme al suo maestro, inoltre, collabora presso il centro spirituale “Nihue Rao” a Llanchama. Qui le cerimonie con ayahuasca sono precedute da un’attenta fase di preparazione: Drassl invita gli*le interessati*e a un colloquio preliminare, in collaborazione con un medico gli*le sottopone a uno screening sanitario, poi in un altro colloquio approfondisce e valuta le loro motivazioni. La settimana prima della cerimonia le persone si attengono a una dieta a base di riso, pesce, platano, patate e lenticchie. Ci si astiene dall’alcol e dal sesso e non si mangiano zuccheri e sale. “Eliminando questi due ingredienti le emozioni sono più libere di fluire”, spiega. Il giorno della cerimonia la “curandera” e i*le partecipanti si riuniscono alle otto di sera in una “maloca” (una casa a pianta rotonda). Ognuno*a beve la sua ayahuasca, a regnare è il silenzio. Quando l’effetto del decotto sale, Drassl inizia a cantare. “In questa fase le persone trovano il proprio centro e poi ognuno riceve un “icaro”, “un canto di sanazione personale che aiuta a rimuovere i blocchi interiori”. La permanenza minima al “Nihue Rao” è di una settimana, dato che secondo la tradizione per “navigare” dentro sé stessi*e sono necessarie almeno quattro cerimonie. Drassl porta avanti così l’insegnamento del suo maestro, secondo cui non bisogna andare oltre i propri limiti e oltre la pianta, ma collaborare con lei in un processo lento, perché “solo chi ha pazienza otterrà la gloria”. Per i turisti oggi bere ayahuasca in Perù sembra sia quasi diventata una delle “cose da fare” suggerite dalle guide turistiche, ma Drassl su questo è categorica: “gli Shipibo-Conibo affermano che la medicina va condivisa nel rispetto della sacralità delle piante. La gente in cerca di sballo che fa solo volgare turismo sciamanico noi non l’accogliamo”.

In Italia la ricerca in materia di sostanze psicoattive non incontra molto sostegno, come sta invece accedendo nel mondo di matrice anglosassone. Attualmente l’approccio del nostro Paese in questo ambito sembra indirizzarsi verso una chiusura, basti pensare al referendum sulla cannabis, voluto da due milioni di persone e poi bocciato dalla Corte Costituzionale. Lo scorso marzo, inoltre, il governo ha inserito le piante maestre da cui si ricava l’ayahuasca nella Tabella 1 delle sostanze stupefacenti del Testo Unico sulle droghe, rendendole di fatto illecite. Gli*le addetti*e ai lavori, però, criticano questo atteggiamento di chiusura, convinti*e che un utilizzo regolamentato delle sostanze psicoattive in contesti sicuri e un’informazione corretta e responsabile circa il loro utilizzo e i rischi nel caso di un loro uso improprio permetterebbero alla ricerca medica e scientifica di fare grandi passi avanti. Per il bene comune.

Psilocibina & psilocina: sostanze contenute in vari tipi di funghi, hanno effetti psichedelici molto simili a quelli dell’Lsd.
Cannabis: il Thc, insieme al cannabidiolo (Cbd), è il principale principio attivo della cannabis e provoca generalmente una sensazione di rilassamento e un miglioramento dell’umore.


Ayahuasca: decotto realizzato con alcune piante dell’Amazzonia, bevuto durante cerimonie spiriturali di alcune popolazioni indigene del Sudamerica. Ha effetti psichedelici per la presenza di dietiltriptammina.


Coca: per i popoli andini la foglia di questa pianta rappresenta la forza e la vita e permette di entrare in contatto con gli esseri spirituali. Oltre all’uso rituale viene usata da chi cammina sulle Ande per contrastare gli effetti dell’altitudine.


Iboga: le proprietà curative delle radici di questa piante viene utilizzato dalle popolazioni pigmee del Gabon in particolari riti, caratterizzati da visioni di morte e rinascita. Questo è causa di una riduzione della paura della morte e di un rinnovato amore per la vita. L’iboga è legale in alcuni Paesi del Nord globale, come Repubblica Ceca, Canada e Regno Unito.

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