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Un luogo necessario

Un luogo necessario

Un articolo sulla Casa Parrocchiale di Bolzano che ha aperto un centro diurno per persone senza tetto e senza dimora. L’iniziativa, organizzata e realizzata sotto l’egida dell’associazione Schutzhütte/Rifugio Binario 1, può contare su circa 40 volontari*e di età e competenze diverse. 

Testo: Alessio Giordano

Foto: Ludwig Thalheimer

Un articolo del giornale di strada zebra. del marzo 2021.

 


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Il 16 gennaio, presso la Casa Parrocchiale di Bolzano, ha aperto un centro diurno per persone senza tetto e senza dimora. L’iniziativa, organizzata e realizzata sotto l’egida dell’associazione Schutzhütte/Rifugio Binario 1, può contare su circa 40 volontari*e di età e competenze diverse. 

Un centro diurno nel capoluogo esiste da decenni, ma accoglie solo persone provenienti dai Paesi della Comunità Europea. Ho sempre trovato paradossale questa differenziazione, anche negli anni in cui in quel centro diurno ho vissuto la mia prima vera esperienza professionale in ambito sociale. Dall’apertura del nuovo centro, e grazie al contributo di 36 volontari impegnati nella gestione della sala, molti ne hanno varcato la soglia per trovare un momento di respiro dalle difficoltà della vita in strada. Le 32 persone registrate la prima settimana sono presto aumentate e, ad oggi, sono state consegnate 125 tessere di accesso. Col tempo, sono stati attivati e strutturati corsi di lingua, momenti dedicati alla ricerca lavoro e, una mattina a settimana, un operatore della Caritas risponde alle domande relative alle questioni legali che le persone presentano. Soprattutto, però, la sala è un luogo dove si instaurano relazioni e dove alcuni ricordano le loro esperienze più difficili. Najib racconta in un tedesco pressoché perfetto degli anni trascorsi in Austria, dove ha frequentato la scuola e ha poi lavorato in condizioni di sfruttamento in agricoltura. Silla si ritrova in quest’ultima tragica esperienza. “In Calabria lavoravo nella raccolta delle arance per pochi euro al giorno, poi sono partito per la Germania”. Un giorno però lo chiama il suo avvocato: il ricorso è stato accolto e ha ottenuto il riconoscimento dell’asilo politico. Torna in Italia. “Finalmente avevo in mano un documento “vero”, ma non un posto dove stare, se non la strada.” L’alloggio è un problema ricorrente: il libero mercato sembra inaccessibile, le strutture ad alta autonomia del territorio hanno liste di attesa di mesi. Anche Hassan dorme all’addiaccio. Arrivato in Italia nel 2009, da quattro anni vive in Alto Adige. Ha lavorato come stagionale in alcuni alberghi della Val Pusteria, ma con la pandemia ha perso lavoro e alloggio. “Sono partito in cerca di un futuro migliore, se avessi saputo che dopo dodici anni mi sarei trovato in questa situazione forse non avrei lasciato il mio Paese, a costo di rischiare la vita”, afferma sconsolato. Il centro è però anche il luogo in cui mettere da parte per un paio di ore i problemi e le esperienze traumatiche. La sala presso il Centro Parrocchiale, quindi, mostra per l’ennesima volta che la società civile è pronta ad agire, andando a colmare un clamoroso vuoto istituzionale. L’auspicio è che le istituzioni possano trarre spunto dal nostro lavoro di queste settimane, per individuare soluzioni a lungo termine e strutturali per le persone senza tetto e senza dimora. Il prossimo inverno non vorremmo trovarci - come ogni anno - punto e a capo.