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Le sporche frontiere

Le sporche frontiere

Un articolo sull'esteriorizzazione dei confini europei. Duccio Facchini, direttore del mensile Altreconomia, da anni accende i riflettori su quanto accade ai confini e analizza con precisione le politiche migratorie e le strategie messe in campo dall’Europa, inchiodando i governi dei Paesi dell’UE alle proprie responsabilità.

Testo: Alessio Giordano 
Foto: Georg Hofer

Un articolo del giornale di strada zebra. del dicembre 2022


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Duccio Facchini, direttore del mensile Altreconomia, da anni accende i riflettori su quanto accade ai confini europei. Nel libro “Respinti - Le “sporche frontiere” d’Europa, dai Balcani al Mediterraneo”, scritto insieme a Luca Rondi, analizza con precisione le politiche migratorie e le strategie messe in campo dall’Europa, inchiodando i governi dei Paesi dell’UE alle proprie responsabilità.

Come si caratterizza il fenomeno migratorio a livello globale?
Alla fine del 2020 si contavano 280 milioni di migranti internazionali, circa il 4 percento della popolazione mondiale. Il migrante oggi è perlopiù un cittadino europeo ricco che, seguendo una dinamica regionale per ragioni culturali, familiari ed economiche, si sposta all’interno del suo continente di origine. Questa tendenza si verifica anche per i cittadini subsahariani: oltre il 50 percento di loro resta nella regione di origine. Questo inquadramento generale è necessario per guardare con obiettività alle migrazioni forzate e permette di smontare alcune letture che vedono questo fenomeno come un esodo biblico di disperati.

Qual è, invece, la tendenza delle migrazioni forzate degli ultimi anni?
Negli ultimi dieci anni le migrazioni forzate sono raddoppiate. I cosiddetti attraversamenti irregolari delle frontiere europee, però, non hanno mai superato le 2 milioni di persone in un anno. Il picco si è registrato nel 2015 con 1,8 milioni di persone, per arrivare alle duecentomila del 2021. Le cifre pubblicate dall’UNHCR a giugno di quest’anno riportano che alla fine del 2021 oltre 89 milioni di persone hanno dovuto abbandonare la propria casa. Considerando anche la guerra in Ucraina, che ha prodotto finora 15 milioni di migranti forzati, si tratta di 100 milioni di persone: solo una minima parte di queste si affaccia ai confini dell’Unione Europea.

Come ha reagito l’Unione Europea di fronte a questa situazione?
L’UE negli ultimi anni ha messo in campo una strategia precisa, che si articola in tre fasi – esternalizzazione delle frontiere, confinamento e respingimento - e che impedisce alle persone di entrare nel suo territorio per attivare la richiesta di protezione internazionale. Questo è uno dei punti dolenti che determina la crisi umanitaria degli ultimi anni.

In che modo l’UE realizza l’esternalizzazione delle frontiere?
Attraverso fondi destinati alla cooperazione internazionale, l’esternalizzazione delle frontiere mira a controllare, bloccare e a prevenire il transito delle persone verso l’Europa. Penso ai 6 miliardi dati in prima tranche alla Turchia, con altri 3 miliardi successivi, in seguito a un Accordo mai ratificato dal Parlamento Europeo e definito carta straccia dalla Corte Europea di Giustizia o ai soldi elargiti alla Libia per forniture dirette, formazione ed equipaggiamento, senza preoccuparsi di obbligarla a ratificare la Convenzione di Ginevra del 1951 o a dotarsi di una legislazione interna in materia di diritto di asilo.

Dove avviene invece il confinamento delle persone?
Il confinamento ha luogo in veri e propri campi in cui le persone vengono trattenute con la scusa di doverle registrare: dalle isole greche al confine marittimo con la Turchia, da Lampedusa all’area dei Balcani: Paesi che non fanno nemmeno parte dell’UE, dove i campi sono fioriti. Questo approccio lo abbiamo osservato bene anche in Italia con il dispiegarsi degli hotspot.

L’ultima declinazione della strategia è il respingimento.
I respingimenti avvengono tra Stati europei, ma anche tra Paesi europei e Paesi non membri dell’UE, come accade tra Croazia e Bosnia, Ungheria e Serbia, Grecia e Turchia, Italia e Libia, Malta e Tunisia, Spagna e Marocco. È interessante osservare che la tesi del nostro libro sia la stessa del relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani dei migranti, il cileno Felipe Gonzalez Morales, che nel suo ultimo rapporto ha definito i pushback “la policy de facto in atto oggi anche in Europa per la gestione dei migranti forzati che si presentano alle frontiere”.

Quali sono i momenti chiave che hanno preparato il campo alla strategia dell’UE?
Sicuramente l’Agenda Europea sulle Migrazioni del 2015 e, di lì a poco, l’adozione del Fondo fiduciario per l’Africa, cassaforte di una buona parte delle forniture e delle strategie della gestione delle frontiere nei Paesi di transito. Poi il “non accordo” tra Comunità Europea e il governo di Erdogan del 2016, il memorandum Italia-Libia e la missione bilaterale di supporto alla Guardia Costiera libica e l’avvio delle procedure con dichiarazione dell’area SAR nel 2017. Questa a mio parere è la “semina” della strategia.

Come si posiziona l’Italia all’interno di questo quadro?
Al confine orientale i respingimenti riattivati con vigore nella primavera del 2020 (che hanno toccato quota 1400) sarebbero stati teoricamente congelati. Sono ripresi i pattugliamenti interforze misti che hanno prodotto l’intercettamento delle persone ben prima che potessero arrivare al confine italiano, anche con l’utilizzo di fototrappole. La collaborazione tra le forze di polizia è una prassi che c’è sempre stata, semplicemente si telefonano e si passano le persone.

C’è poi l’abisso del Mediterraneo centrale.
Questo è il teatro della più brutale delle strategie. Dieci anni fa l’Italia è stata sanzionata dalla CEDU per i respingimenti della primavera del 2009 (governo Berlusconi, ministro dell’Interno era Maroni) e da quel momento la grande idea è stata pagare qualcun altro per fare il lavoro sporco. Questo ha prodotto decine di migliaia di morti e ha fatto del Mediterraneo un cimitero nel cuore dell’Europa.

Su Altreconomia vi occupate da anni anche di Frontex. Qual è il ruolo dell’Agenzia Europea?
Frontex è da sempre l’esecutore materiale della strategia. Fondata nel 2004, operativa nel 2005, nel 2006 disponeva di un budget di 6 milioni di euro, cresciuti a 750 nel 2022, con una previsione di altri 6 miliardi da qui al 2027 e un esercito di 10mila agenti. Si occupa dei rimpatri delle persone, del controllo delle frontiere, dell’ingresso irregolare di merci e persone e dell’affiancamento a Paesi terzi nella predisposizione degli strumenti per intercettare i migranti cosiddetti irregolari. Negli anni sono emersi molti lati oscuri dell’Agenzia.

Quali?
Report interni certificano che Frontex fosse a conoscenza dei respingimenti illegali da parte della guardia costiera greca verso la Turchia e questo, unito alle accuse di frode, malversazione, abusi e molestie, ha portato alle dimissioni del direttore generale Fabrice Leggeri. Per quanto riguarda i respingimenti in Grecia parliamo di circa 21mila episodi che hanno interessato 17mila persone. Ancora più frequentemente ciò avviene nel Mediterraneo centrale. Da anni le Ong testimoniano che i droni di Frontex comunicano la posizione delle imbarcazioni alla guardia costiera libica, così che questa possa anticipare i migranti prima delle navi delle organizzazioni umanitarie.

In “Respinti” sottolineate il “doppio registro” dell’UE e delle differenze di approccio tra ucraini*e e gli*le altri*e migranti forzati*e. Cosa intende?
La Polonia è un esempio lampante del doppio registro. L’ultimo report di Human Rights Watch riporta che in meno di 100 giorni 3,8 milioni di cittadini*e ucraini*e i hanno passato una frontiera tra Polonia e Ucraina e hanno beneficiato dell’istituto della protezione temporanea. Poco più a nord, però, ci sono meno di 25.000 persone, che sebbene come gli ucraini fuggano da conflitti e persecuzione, vengono respinte. Questo è un punto centrale, perché a un numero di gran lunga inferiore di persone viene riservata come unica soluzione quella di seguire delle rotte pericolose e costosissime, ingrassando gli affari di una ristretta cerchia di trafficanti senza scrupoli, che richiedono per esempio 300 euro per passare il confine Francia–Italia a Ventimiglia o 5000 euro per attraversare quello tra Serbia e Ungheria con una tariffa “deluxe”.

Che clima ha percepito nei territori nel corso delle presentazioni di “Respinti”?
Ho trovato molto interesse. In Italia ci sono tante realtà fatte di persone che hanno a cuore questo tema e ne vogliono parlare. Va contrastata la sensazione di impotenza ed è importante farci forza, perché ci sono giudici che difendono lo stato di diritto e cittadini*e europei*e che non accettano di stare dalla parte sbagliata della Storia e per questo denunciano, si impegnano nell’accoglienza e nel soccorso. Questo è anche lo spirito che anima Altreconomia: produrre informazione per agire, applicando il rigore giornalistico a quello che facciamo.

Frontex all’Università di Torino


Nel 2021 l’Università di Torino si è aggiudicata un bando di Frontex da 4 milioni di euro per produzione la di mappe e cartografie. Alcuni membri del dipartimento del Politecnico hanno preso posizione contro questa scelta. Il rettore del Politecnico ha risposto dicendo che una clausola relativa al rispetto dei diritti umani sarebbe stata inserita a fine anno. Altreconomia ha documentato che di questa clausola non vi è mai stata traccia e solo il 27 ottobre di quest’anno i membri del Cda di Unito hanno approvato una mozione in cui si dichiara la “totale contrarietà alla collaborazione in atto”, chiedendo ai competenti organi del Politecnico di procedere alla “sospensione di ogni attività con l’Agenzia”. Quello di Torino non è un caso isolato in Europa.

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